Recensione del romanzo di Giovanni Verga I Malavoglia
Sul sito sono passati molti autori e di tanti generi, spaziando dal fantasy (ex: Alvin l’apprendista di Orson Scott Card), alla spiritualità (ex: Gli annali dell’Akasha di Daniel Meurois-Givaudan), dalla fantascienza (ex: Il segreto del dr. Hodson di David Case) ai classici (ex: Madame Bovary di Gustave Flaubert).
La recensione di oggi è dedicata proprio a un classico della letteratura, e nello specifico a un classico italiano: I Malavoglia di Giovanni Verga, il romanzo manifesto del verismo italiano, a sua volta parente del naturalismo francese.
La data de I Malavoglia è il 1882, e per l'epoco si è trattato di un testo rivoluzionario, tanto nello stile narrativo quanto nel tema di fondo.
Primo punto: il narratore si estranea dal narrato e lascia campo libero ai suoi personaggi, che si esprimono peraltro nel dialetto locale. Ne deriva una sorta di ritratto di un paesaggio, scevro dai giudizi dello scrittore.
Secondo punto: I Malavoglia è inserito all'interno del Ciclo dei Vinti (vi facevano parte anche Mastro don Gesualdo, La Duchessa di Leyra, L'onorevole Scipioni e L'uomo di lusso, questi ultimi due romanzi però mai scritti), il cui tema di fondo è il fallire dei protagonisti nel cercare di elevare la propria condizione sociale.
Nel caso dei Malavoglia (soprannome della famiglia Toscani), essi hanno cercato di cambiare il loro equilibrio di tranquilla famiglia di pescatori di un paesino siciliano (Aci Trezza), pagando caramente il loro tentativo (e curiosamente la loro barca si chiama Provvidenza, ma in questo caso porta loro decisamente meno bene della provvidenza manzoniana...).
Siamo di fronte a un romanzo importante che però il mio gusto individuale mi porta a non gradire oltremisura, laddove preferisco, sempre in tema di autori italiani, scrittori come Pirandello e Svevo.
Ciò non toglie che riconosco a Giovanni Verga un suo valore...